di Claudio Micalizio
Percorri in auto il lungo viale alberato che conduce sino all’ingresso del complesso monumentale della Certosa di Pavia e si viene pian piano invasi da una sensazione di tranquillità e di pace, che percepisci sempre più nitidamente mentre, attraverso lo specchietto retrovisore, vedi che l’incrocio con l’ex statale dei Giovi, là in fondo, si fa sempre più piccolo. Quando poi varchi il possente portone di ingresso, l’istinto di trattenere il fiato davanti alla facciata del Monastero di Santa Maria delle Grazie e al vicino Palazzo Ducale è irresistibile e intenso, proprio come la sensazione di appagamento e di serenità. Un’estasi per la vista e per l’anima, che nell’epoca del turismo esperienziale è già un ottimo biglietto da visita per chi vuole scoprire questo capolavoro del Rinascimento italiano sorto nelle campagne del pavese per volere del primo Duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti.
Claudio Ragosta è da qualche mese il direttore dell’intero complesso monumentale della Certosa di Pavia e, di concerto con la Direzione Regionale Musei di Lombardia del ministero della Cultura, ha il compito di prendersi cura e rilanciare questo autentico tesoro del nostro Paese.
Lei cosa ha provato quando ne ha varcato per la prima volta il portone di ingresso?
«Una grandissima emozione, un senso di autentica meraviglia per un luogo che già conoscevo ma che, vivendolo per la prima volta con la responsabilità del nuovo incarico, percepivo bisognoso di protezione e, al contempo, anche di una giusta valorizzazione: stiamo parlando di un complesso monumentale dalle forti potenzialità culturali, che però richiede tanto lavoro, sia sul piano della manutenzione dei vari edifici, sia sul fronte strettamente organizzativo per consentire di valorizzarlo al meglio per i turisti che arrivano ogni anno dall’Italia e dall’estero ma anche – e soprattutto – per i cittadini di questo territorio che oggi vivono la Certosa come un luogo a sé stante, isolato e chiuso nelle sue mura. Il mio sogno, invece, è di renderla sempre più aperta, viva e vissuta».
Un obiettivo ambizioso che, in fondo, è la vera sfida di chi amministra luoghi di grande valore storico, artistico e culturale – e dunque molto preziosi – dovendoli rendere attrattivi per il maggior numero di visitatori. Lei arriva da un’esperienza molto impegnativa perché, dopo aver lavorato in molti contesti culturali da nord a sud della penisola, negli ultimi anni è stato segretario amministrativo del Parco archeologico di Paestum: è possibile davvero rendere “popolari” luoghi così fragili e, come nel caso della Certosa, anche con una dimensione religiosa e spirituale che richiede ulteriore attenzione?
«Sembra molto difficile, però l’esperienza insegna che è possibile ottenere questo obiettivo con una gestione molto semplice, fluida, ma con regole ben precise. Il direttore della Direzione Musei nazionali della Lombardia, Rosario Anzalone, ed io riteniamo che l’aspetto del culto all’interno della Certosa di Pavia, con la preziosa presenza dei monaci, sia essenziale perché, altrimenti, si viene a perdere l’aspetto religioso e il motivo stesso per cui è nato l’intero complesso monumentale. Però, allo stesso tempo, non possiamo dimenticare che con l’ultimo decreto ministeriale del 2021, che è un provvedimento di riorganizzazione degli uffici periferici del ministero, il complesso monumentale della Certosa fa parte della rete dei musei italiani e, quindi, bisogna necessariamente riuscire a conciliare la tutela dell’aspetto religioso con la promozione e la valorizzazione di tutta l’area. Ripeto: è possibile far convivere tutto con una gestione semplice ma con regole ben precise per rispettare tutte le esigenze. E, a questo punto, vorrei ringraziare tutti i miei collaboratori che, con grande professionalità e dedizione, hanno da subito sposato il mio progetto: senza una squadra unita, non si vince».
Restiamo proprio sui temi della gestione e dell’organizzazione. La Certosa è monumento nazionale dal 1866, quindi appunto sotto la competenza statale, ma dalle fine degli anni ’60 ospita una piccola comunità monastica che porta avanti alcune attività, oltre a quelle strettamente di culto: come sono ripartite le competenze?
«La collaborazione con i monaci è ottima e c’è grande stima da entrambe le parti anche perché, ovviamente, ruoli e competenze sono ben divisi. Lo Stato italiano si preoccupa della manutenzione straordinaria dell’area e del restauro delle varie opere all’interno sia del complesso monumentale che del museo, mentre la gestione della manutenzione ordinaria è di competenza dei monaci anche se, a breve, per effetto proprio di quel decreto ministeriale del 2021, il ministero della Cultura si occuperà anche della gestione quotidiana, compresa la fruibilità del luogo da parte dell’utenza e quindi anche le visite guidate che oggi sono di competenza dei monaci. È un’evoluzione importante e io sono felice che ci sia un clima di stima reciproca: non sempre è scontato, mentre in questo caso c’è davvero un’ottima collaborazione».
“Aprire la Certosa al territorio”, però, per lei non significa soltanto ampliare gli orari di visita o crearvi degli eventi: in questi primi mesi di lavoro qui a Pavia ha incontrato molti rappresentanti degli enti locali e delle istituzioni territoriali, a cominciare dall’Università di Pavia. Cosa ha in mente?
«La Certosa deve essere sempre più un patrimonio del territorio e il mio obiettivo, come direttore, è di radicarla nel contesto della provincia circostante. Abbiamo in mente tanti progetti e ogni istituzione può dare il proprio contributo o promuoverne altri. Penso proprio all’Università di Pavia: ho avuto l’onore di avere qui il Rettore, il professor Francesco Svelto, e la visita al complesso monumentale ci ha ispirato una serie di progetti che potremmo sviluppare insieme valorizzando le tante competenze racchiuse nell’Ateneo. Per esempio, annesso al monumento c’è un podere agricolo di 30 ettari e allora sarebbe molto bello poter sviluppare in alcuni spazi interni dei corsi universitari legati alle scienze agrarie che potrebbero permettere di avviare anche delle sperimentazioni sul terreno».
In meno di un anno lei ha messo in cantiere molti progetti: alcuni sono già partiti, altri entreranno nel vivo presto e avranno un orizzonte temporale più ampio…
«Il rilancio della Certosa avviene attraverso una progettualità a breve termine e una a medio e lungo termine. Per far conoscere il monumento, per esempio, in autunno partiremo con una serie di attività che vanno dalle mostre ai laboratori didattici per bambini, poi eventi diurni e serali così da creare quel forte connubio tra la Certosa e il territorio che per me è importante. Poi, invece, ci sono i progetti a medio e lungo termine: con il dottor Anzalone stiamo lavorando ad uno studio di fattibilità che prevede il piano strategico dell’intero complesso della Certosa e, su questo, io inviterei attorno al tavolo non solo il ministero della Cultura ma anche il Comune di Certosa e tutte le altre realtà che possono contribuire a dare un valore aggiunto al nostro impegno: penso agli enti, alle istituzioni, alle Fondazioni ma – perché no – anche alle associazioni di volontariato, culturali, sportive… Insomma: tutti coloro che possono contribuire a dare un valore aggiunto al piano strategico di sviluppo del complesso monumentale, perché la Certosa dovrà diventare il cuore propulsore dello sviluppo culturale e socioeconomico del territorio pavese».
Progetto ambizioso, così come è impegnativa anche la manutenzione dell’area. In rete c’è un po’ di preoccupazione perché alcuni visitatori hanno notato la presenza all’ingresso di un paio di corner: introdurrete un biglietto a pagamento?
«Sicuramente la direzione è quella di introdurre un biglietto a pagamento, così come in tutti gli altri musei e tutti gli altri parchi archeologici d’Italia che fanno capo al ministero della Cultura, ma non sarà sicuramente una cosa a breve anche perché stiamo elaborando una serie di progetti per rendere ancora più belli e interessanti i percorsi di visita. Per il momento abbiamo introdotto un presidio fisso, con il nostro personale che accoglie i visitatori anche stranieri, fornisce loro informazioni e soprattutto registra quante persone arrivano, cosa mai accaduta prima: ecco, oggi noi sappiamo che nei primi sei mesi dell’anno abbiamo ricevuto oltre 100mila visitatori, che è un dato importante ma che ci conferma come sia possibile diventare sempre più ricettivi».
Il prossimo progetto in fase di partenza?
«Nasce dall’esperienza che ho maturato in altri contesti in questi anni e serve da una parte a dare un contributo per accelerare la ristrutturazione e dall’altra a creare quel connubio forte tra la Certosa ed il territorio. Potremmo chiamarlo “Adotta un mattoncino” e offre a tutti la possibilità di contribuire economicamente al restauro o alla manutenzione del complesso e, nello stesso tempo, di sentirsi quasi “proprietari” del monumento, sviluppando quindi una sorta di empatia e di attenzione. È un progetto al quale stiamo lavorando da tempo, siamo in dirittura d’arrivo e presto lo presenteremo su “Art bonus”, il portale pubblico che da anni promuove azioni di mecenatismo al quale tutti possono accedere ed effettuare quindi un versamento a favore della direzione regionale Musei Lombardia per finanziare la manutenzione e il restauro del complesso».
Se fossimo nel settore privato, potremmo definirla un manager chiamato a rilanciare quest’area. E allora, proprio come in azienda: se dovesse definire con uno slogan la Certosa del futuro, quella che uscirà da questa serie di progetti, cosa direbbe?
«Lo slogan potrebbe essere “Certosa in vita”, è un’esperienza pilota di co-progettazione museale che si propone di salvaguardare e raccontare al pubblico il ricco patrimonio culturale di storie, sapere, conoscenze di coloro che hanno vissuto e che continuano a vivere in relazione con la Certosa e il territorio».
L’ultima domanda di rito per i nostri lettori e le nostre lettrici: tre motivi per venire a visitare la Certosa di Pavia?
«Me ne basta uno solo: è un’oasi di pace e di tranquillità, dove lo spirito si tempra e il corpo rifiorisce».