di Raffaella Costa
Torre degli Alberi è un piccolo borgo incastonato tra le colline dell’Oltrepò Pavese, dominato da una torre trecentesca che testimonia la lunga storia della famiglia Dal Verme. Originari di Verona e celebri condottieri, i Dal Verme si trasferirono in Lombardia nel XIV secolo al servizio dei Visconti, che ricompensarono la loro fedeltà con il vasto feudo dell’Oltrepò, compreso tra Voghera, Bobbio e la Val Tidone. Inizialmente avamposto del castello di Zavattarello, Torre degli Alberi divenne nell’Ottocento residenza familiare. Le terre, coltivate a mezzadria con cereali, foraggi e vite, cambiarono volto dopo la Seconda guerra mondiale grazie a Luchino Dal Verme, protagonista anche della Resistenza partigiana. Luchino introdusse un’avanzata attività zootecnica, specializzandosi nell’allevamento avicolo e bovino. Oggi l’eredità della famiglia è portata avanti da Camillo e Filippo Dal Verme, che hanno saputo coniugare tradizione e innovazione. Tra le loro iniziative, spicca la rinascita della viticoltura, che si affianca alle attività storiche, facendo di Torre degli Alberi un simbolo di resilienza e modernità agricola.
Camillo Dal Verme, 75 anni, la sua vita l’ha trascorsa a Torre degli Alberi. Facendosi custode di un luogo dove la biodiversità è madre, e dove si respira un’aria di quiete e quasi di mistero. Ci sono i pascoli, c’è un bosco, un lago e una vigna, la più alta dell’Oltrepò Pavese. Un angolo di natura abitato da caprioli, daini e dai lupi che di notte tessono la trama sonora del bosco, senza mai invadere lo spazio umano. E, poi, c’è una antica tradizione famigliare, bellissima: ogni discendente è chiamato a vivere un pezzo della sua infanzia qui, per imparare ad amare la natura e conoscere il vero senso della libertà. Per sapere che, ovunque il destino li porterà, le radici sono a Torre degli Alberi.
Signor Camillo, come racconterebbe la storia dell’azienda agricola e la sua trasformazione?
«Noi abitiamo qui da sempre. Una volta l’azienda era condotta a mezzadria. Mi ricordo ancora quei tempi, quindi parliamo degli anni ’55-’60, periodo in cui la mezzadria è terminata. Quando ero bambino abitavo nel castello, ricordo ancora il freddo d’inverno e le stufe che accendevamo per cercare di scaldarci. Il castello risale al Trecento, quando i Dal Verme si stabilirono nell’Oltrepò Pavese, ricevendo il feudo. Gestivano un vasto territorio che con le vicissitudini di matrimoni, battaglie e trattati si allargava o si restringeva, come una fisarmonica. Nel nostro immenso archivio sono documentate le varie investiture e i passaggi di proprietà. Con il declino della mezzadria, mio padre, Luchino, decise di assumere i mezzadri come dipendenti. Lui capì che non eravamo competitivi con la pianura nella produzione di cereali, a causa dei costi più alti. Per questo motivo, decise di puntare tutto sull’allevamento. Scelse di allevare polli, l’animale che trasforma meglio il cereale in carne, avviando così un’attività zootecnica che segnò una svolta per la nostra azienda».
Poi suo padre ebbe subito un’idea semplice, ma innovativa
“In quei tempi non si conosceva quasi nulla delle malattie, non si sapevano usare gli antibiotici e non esistevano vaccini. Era difficilissimo gestire l’allevamento, perché molti animali morivano. Mio padre, però, ebbe un’idea innovativa: posizionava i pollai nel bosco, in modo da mantenere un ambiente con cariche batteriche molto basse. Creava delle piccole casette mobili che spostava ogni settimana per garantire che fossero sempre su terreno pulito. Con il tempo, grazie all’aiuto dell’Istituto zooprofilattico, vennero sviluppati i primi vaccini e cure, permettendo all’attività di crescere gradualmente. Quell’approccio pionieristico portò a un allevamento sempre più grande e importante. Oggi gestiamo circa 40mila galline e ci occupiamo principalmente della produzione di pulcini di un giorno, concentrandoci sulla riproduzione e non sull’ingrasso. L’obiettivo è creare incroci ibridi che diventeranno galline ovaiole per la produzione di uova da consumo. In passato allevavamo galline pesanti da carne, ma ora ci dedichiamo esclusivamente alle madri per uova da consumo, portando avanti una tradizione agricola che si è trasformata in un modello d’innovazione».
Oggi la vostra azienda viene vista come modello anche per la linea vacca-vitello, rigorosamente bio. Ci può spiegare la vostra tecnica di allevamento?
«Abbiamo introdotto l’allevamento della linea vacca-vitello, scegliendo la razza Limousine. È una mucca dal caratteristico colore rosso mattone, di origine francese ma ormai riconosciuta anche come razza italiana, con un proprio libro genealogico. Si tratta della seconda razza da carne più importante in Italia, apprezzata per la sua rusticità e adattabilità: è l’unica che si trova dalla Sicilia fino alle Alpi, a differenza di altre razze locali. Il nostro metodo di allevamento è basato sul pascolo. Da aprile a ottobre, le vacche pascolano nei campi intorno all’azienda, mentre in inverno vengono alimentate con il fieno raccolto durante la stagione estiva. I vitelli nascono tra dicembre e marzo, allattati dalle madri durante i mesi al pascolo. Una volta svezzati, vengono ceduti ad aziende di pianura specializzate nell’ingrasso, coerentemente con la nostra filosofia di puntare sulle risorse disponibili senza competere con le aree di pianura. La gestione è semplice e sostenibile: la Limousine è una razza robusta che non si ammala facilmente, non richiede assistenza al parto e si adatta perfettamente al nostro modello biologico. Un solo operatore, in mezza giornata, è in grado di occuparsi dell’intero allevamento, che rappresenta un equilibrio tra tradizione e innovazione agricola».
Riconosciuti come un’importante azienda zootecnica, unica per il suo modello in Oltrepò Pavese, ad un certo punto avete deciso di intraprendere una nuova sfida: far rinascere un vigneto.
«Un tempo, le vigne qui venivano coltivate principalmente dai mezzadri e il vino prodotto non era pensato come una bevanda di qualità, ma più come una fonte energetica. Con la fine della mezzadria, le vigne furono abbandonate. Tuttavia, nel 2009, a seguito del riscaldamento globale e del cambiamento nei gusti dei consumatori, abbiamo deciso di puntare sulla qualità, sfruttando la crescente richiesta di spumanti. Il nostro territorio, con le sue forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, è ideale per la produzione di spumanti di qualità. Inoltre, il consorzio ha ampliato i confini della DOCG verso i colli, riconoscendo il potenziale qualitativo di queste aree. Essendo l’Oltrepò Pavese una terra vocata per il Pinot Nero, abbiamo deciso di reimpiantare quattro ettari di vigneto con questa varietà, dedicandoci all’intera filiera, dalla coltivazione fino alla produzione della bottiglia. Oggi produciamo il nostro spumante ‘Torre degli Alberi’ in cinque tipologie bio: un TDA metodo classico, giovane e fresco ideale per aperitivi, un brut con aromi di frutta matura, un Pas Dosé millesimato di grande eleganza, un rosè Cruasè e un Riserva, secco e raffinato, con affinamenti più lunghi di 36-40 mesi. Gli spumanti sono prodotti col metodo biologico fin dalla coltivazione della vigna: nessun uso di diserbanti, pesticidi, trattamenti chimici, ma concimazione con letame organico e lotta alle malattie con prodotti di copertura, che rimangono all’esterno e non entrano nel ciclo vitale della pianta. Anche in cantina vi è il più rigoroso rispetto del disciplinare che regolamenta la produzione biologica».
Come trasformate l’uva e dove conservate il vino?
«Le cantine storiche che si trovano sotto il castello risalgono all’epoca dei mezzadri e, pur essendo affascinanti, presentano alcune difficoltà pratiche. Non ci sono due stanze sullo stesso livello, e l’accesso avviene tramite scale e scalette, pensate per il lavoro manuale di un tempo. Oggi, con le esigenze produttive moderne, non sono più funzionali. Per questo motivo, abbiamo deciso di affittare una cantina a Casteggio. In questa struttura, portiamo la nostra uva e ci occupiamo di tutte le lavorazioni in loco grazie al nostro enologo, mantenendo però il controllo completo del processo che non prevede ricorso a ulteriori chiarifiche né filtrazioni. Lo spazio affittato ci permette di lavorare in modo più efficiente, mentre le bottiglie finite tornano qui, a Torre degli Alberi. La vendemmia, invece, resta fedele alla tradizione: tutto viene fatto rigorosamente a mano. Le nostre uve, curate con grande attenzione, vengono raccolte in cassette aerate per preservarne la qualità, nelle ore più fresche della giornata».
Sintetizzando il nostro incontro, potremmo dire che la sua è una vita spesa tutta tra agricoltura, zootecnia e una grande passione per la natura e la vita
«La nostra storia familiare è legata al territorio e all’azienda agricola da generazioni. Anche io, come i miei figli, ho studiato in città. Dopo il diploma da geometra, ho tentato l’università, ma non faceva per me. Così, sono tornato subito qui a dedicarmi all’azienda. La zootecnia richiede passione e dedizione: è un lavoro senza orari, che non conosce feste o vacanze. Natale o Capodanno, giorno o notte, bisogna essere sempre disponibili. Ma questa vita non mi ha mai pesato, grazie anche alla mia passione per la natura e l’ornitologia. A Milano, mi occupavo di falchi e altri uccelli, un interesse che coltivo ancora oggi. Abbiamo sempre cercato di sfruttare al meglio i momenti vuoti, diversificando le attività. Oltre alla zootecnia, abbiamo piantato vigne, guardando al futuro, perché l’agricoltura ha tempi lunghi e richiede una visione proiettata in avanti. Ad esempio, l’impianto della nostra vigna risale al 2009, ma le prime bottiglie di spumante sono arrivate solo nel 2013. Ogni scelta è stata una scommessa sul futuro».
Normative, ispezioni, misure di sostegno. Come gestite la complessità dell’agricoltura moderna?
«Per affrontare le sfide quotidiane dell’agricoltura moderna è fondamentale il supporto di un’organizzazione come Confagricoltura, un punto di riferimento indispensabile per orientarci nel labirinto della burocrazia e delle normative. In passato, il rapporto con l’associazione era ancora più diretto: c’erano responsabili di zona che conoscevano le leggi a fondo e, soprattutto, capivano le esigenze specifiche delle aziende. Venivano qui e ti avvisavano prontamente delle novità legislative e suggerivano come muoverti per non perdere opportunità. Oggi, purtroppo, tutto è diventato più complicato e la burocrazia sembra infinita. Nonostante questo, Confagricoltura rimane essenziale, soprattutto in situazioni critiche. Ad esempio, durante alcune ispezioni che abbiamo subito, il loro supporto è stato determinante per gestire al meglio le verifiche e rispettare ogni dettaglio normativo. È evidente che senza il loro aiuto, sarebbe quasi impossibile destreggiarsi tra le carte e i regolamenti».
Cosa vi distingue rispetto ad altre aziende del territorio?
«La nostra azienda si distingue per la sua straordinaria biodiversità. Qui convivono boschi, campi e pascoli in perfetto equilibrio, creando un ecosistema ricco e variegato che poche realtà possono vantare. Ciò che ci rende davvero unici è il nostro approccio rispettoso e sostenibile verso l’ambiente. Utilizziamo letame naturale per fertilizzare i nostri terreni, mantenendoli ricchi e fertili. Le nostre vacche, allevate secondo metodi naturali, che pascolano liberamente per gran parte dell’anno. La qualità della vita degli animali e la salute del suolo sono al centro della nostra filosofia aziendale. Siamo custodi del territorio, ma questo ancora pochi lo capiscono».
L’ Azienda Agricola Camillo e Filippo Dal Verme si trova nel comune di Colli Verdi, in località Torre degli Alberi. Sul loro sito aziendale (www.torredeglialberi.it) si trovano i contatti per prenotare visite e degustazioni. C’è anche la possibilità di pernottare a Torre degli Alberi in una casa in autogestione per gruppi.
(In collaborazione con Confagricoltura Pavia)