Incontriamo Giuseppe Fedegari, presidente del Gruppo Fedegari, un nome che ha reso celebre Pavia a livello internazionale nel settore della sterilizzazione e decontaminazione industriale. Con una carriera costruita sull’innovazione e la capacità di coniugare tradizione e modernità, Fedegari è oggi tra i leader globali nelle soluzioni per l’industria farmaceutica, biotecnologica e alimentare. Durante questa intervista, l’imprenditore pavese ci racconta l’importanza di promuovere le eccellenze del territorio anche ai suoi clienti stranieri, e di come l’azienda, profondamente radicata nel territorio pavese, collabori con l’Università di Pavia e il Policlinico per sviluppare nuove tecnologie. Giuseppe Fedegari ci offre una visione di Pavia non solo come sede operativa, ma come luogo che merita di essere conosciuto per il suo patrimonio storico e culturale, diventando un centro di attrazione per talenti, ricercatori e investitori internazionali.
Partiamo dal rapporto che la sua azienda ha con Pavia. In che modo promuovete la città attraverso le vostre attività?
«Ci impegniamo a far conoscere Pavia ai nostri clienti stranieri, molti dei quali arrivano da lontano e hanno poca familiarità con la storia e la cultura della città. Per questo, oltre alle nostre tecnologie e ai nostri prodotti, cerchiamo di trasmettere anche un po’ di conoscenza del territorio. Utilizziamo, ad esempio, dei libri che raccontano la storia locale e le sue eccellenze. L’anno scorso abbiamo editato un volume sulla figura di Lazzaro Spallanzani e la nascita a Pavia della sterilizzazione. Ora stiamo per mandare alle stampe un libro sulla presenza dei Romani nell’Oltrepò, peraltro sede, nel comune di Casteggio, di un museo archeologico molto interessante, che pochi conoscono. È un modo, questo, per arricchire l’esperienza dei nostri clienti, andando oltre la semplice visita all’azienda. Vogliamo che portino a casa anche un pezzo di Pavia, qualcosa che ricordi loro il valore di questa città. Soprattutto vogliamo che ci considerino anche per quello che nei secoli passati ci ha permesso di differenziarci dalle altre nazioni, perché quella differenza di approccio al lavoro in generale che ci rende unici la si trova anche nello sviluppo delle macchine e delle tecnologie».
Perché è così importante che Pavia diventi attrattiva per chi visita la sua azienda?
«Con una prospettiva di lungo periodo, è fondamentale per la nostra attività. Se Pavia non risulta attrattiva, anche le iniziative legate alla nostra azienda ne risentono. Siamo impegnati in progetti innovativi con l’Università e il Policlinico, con cui collaboriamo per sviluppare nuove tecnologie. Abbiamo raggiunto il livello in cui queste tecnologie necessitano di collaborazioni esterne per essere pienamente sviluppate. Il rapporto con il Rettore dell’Università di Pavia e con professori motivati e competenti è stato molto prezioso, e stiamo lavorando su progetti che richiedono anche il supporto del policlinico San Matteo. Dopo il Covid, il mondo farmaceutico sta cambiando rapidamente, e noi vogliamo che Pavia insieme a noi giochi un ruolo in questo progetto, anche grazie ai tre IRCCS presenti in città, una risorsa preziosa per il settore e per il territorio per chi vuole sviluppare farmaci sempre più efficaci».
Come vede Pavia in futuro? Cosa servirebbe per renderla più attrattiva per studenti, ricercatori e aziende?
«Pavia oggi avrebbe bisogno di tante cose così come di amministratori lungimiranti e di esperienza motivati a fare uscire la città da questo letargo industriale. Come privati, il nostro contributo è limitato, ma possiamo anche noi contribuire a valorizzare la storia e le competenze del territorio che rendono la nostra città unica. Vogliamo comunicare di più e meglio ciò che la città ha da offrire. Pavia ha un patrimonio storico e culturale unico, ma è poco conosciuto. Il 90% del nostro fatturato proviene dall’estero, e molti dei nostri clienti arrivano qui da altri paesi. Mi piacerebbe che, visitando l’azienda, si appassionassero a Pavia e sentissero il desiderio di tornare per conoscerla meglio. Spesso ci dicono che avrebbero voluto visitare i musei, le chiese, l’università, ma purtroppo manca il tempo. Dobbiamo anche fare in modo che chi arriva qui possa vedere anche l’Oltrepò e conoscere le sue eccellenze, come il vino, parte delle nostre tradizioni e della nostra cultura».
Riesce a organizzare tour per i suoi ospiti internazionali per mostrare loro le bellezze della zona?
«Purtroppo è raro. La maggior parte dei nostri clienti arriva per lavoro e ha poco tempo disponibile. Quando possiamo, però, li invitiamo a cena in cantina (da oltre un decennio collaboriamo con la cantina Ballabio a Casteggio con la quale abbiamo sviluppato uno spumante metodo classico che valorizza la tradizione e la cultura del territorio) anziché in un ristorante, per far conoscere loro l’Oltrepò Pavese e le sue eccellenze enogastronomiche».
Sappiamo che aveva un legame speciale con l’artista pavese Carlo Mo. Ci racconta qualcosa di più?
«Carlo Mo era un caro amico di mio padre, e insieme a mio zio hanno realizzato opere importanti come il monumento al portatore malgascio in Madagascar e il monumento ai re Longobardi, che oggi arreda la rotonda a Pavia antistante il vecchio ingresso del Policlinico. Il legame profondo che legava la mia famiglia a Mo e a Pavia ci ha portato a donare questi monumenti, dopo la morte dello zio, alla città».
La città si prepara a celebrare i 500 anni della Battaglia di Pavia il prossimo anno. Avete qualche progetto per questa ricorrenza?
«Stiamo pensando, insieme a un artista locale, di realizzare qualcosa di speciale da offrire ai nostri clienti come ricordo di questa importante ricorrenza. È un modo per rafforzare il legame con Pavia e far sì che i nostri clienti portino con sé un pezzo di questa storia, come segno di gratitudine e di omaggio per la loro presenza nella nostra città».