di Raffaella Costa
Il platano di Scopoli svetta maestoso sull’Orto Botanico di Pavia. Ha 246 anni ed è alto 50 metri. Da lassù, veglia silenzioso sui lavori che la prossima primavera restituiranno alla città un Museo moderno e fruibile, con un occhio di riguardo anche ai più piccoli. Mesi fa è partito un progetto di riqualificazione finanziato dal PNRR che vedrà, tra le altre cose, la realizzazione di un centro visite e la ristrutturazione delle antiche Serre di Scopoli. Ad anticiparci ciò che sarà l’Orto Botanico quando riaprirà i cancelli al pubblico è la professoressa Silvia Assini. È la prima donna, nella storia del Museo, a dirigerlo.
Professoressa, chi passa oggi davanti alla cancellata dell’Orto Botanico si trova di fronte a un cantiere. Che cosa sta succedendo?
«Intanto, rassicuro i pavesi. A primavera contiamo di riaprire l’Orto Botanico nella sua nuova veste. Nell’ambito del Pnrr NextGeneration Eu del Ministero della Cultura abbiamo ottenuto un importante finanziamento per restaurare l’Orto partendo dal patrimonio vegetale con l’implemento di collezioni già viventi – come quelle di azalee, rose, ortensie e piante bulbose – e la realizzazione di nuove collezioni, tra cui una nuova torbiera con piante carnivore e un nuovo Bamboo garden».
Il progetto prevede anche interventi strutturali. Ce li può descrivere?
«In questo momento sono in rifacimento le Serre Scopoli che doteremo di vetrate trasparenti così che le persone potranno ammirare le collezioni anche dall’esterno. La ex serra delle orchidee verrà completamente rifatta e diventerà centro visite, biglietteria e un piccolo bookshop. Inoltre, verrà ripristinata l’entrata storica dell’Orto Botanico su via Epifanio e sarà restaurata, insieme ad altre statue, l’edicola celebrativa dedicata a Francesco I d’Austria. Un’altra parte del finanziamento è destinato a sistemare una parte dei camminamenti all’ingresso dell’Orto, a rifare tutto l’impianto idrico e l’impianto di illuminazione. L’idea è di fare anche aperture serali».
Dal punto di vista della divulgazione sono previste novità?
«Stiamo mettendo a punto dei prodotti mirati per fare attività divulgative ed educative rivolte a diversi target di pubblico, compresi i bambini, per i quali stiamo realizzando un percorso Kid all’interno dell’Orto. Per attrarre anche i ragazzi e le ragazze, che magari non hanno un interesse particolare per un orto botanico, stiamo realizzando un’app con giochi educativi. Infine, stiamo anche ripensando tutta la cartellonistica, per fare in modo che il visitatore abbia la possibilità, anche in maniera autonoma, di capire cosa vede quando entra nell’orto. E ci sarà anche un libro».
L’Orto Botanico, insomma, si prepara a farsi conoscere per quello che è: un importante museo della città.
«È proprio così. Credo che finora i pavesi abbiano visto l’Orto Botanico come una specie di giardino delle meraviglie. È un grosso fraintendimento, che a volte ha anche portato a criticare l’orto da parte di chi lo riteneva un giardino, o un parco. Noi siamo un museo, che fa parte del Sistema Museale di Ateneo, dove le piante sono sistemate seguendo criteri scientifici e non ornamentali. Come in ogni Museo ci sono informazioni con i nomi delle piante, si fanno visite guidate e attività per scoprire il mondo vegetale».
Qual è il patrimonio più importante dell’Orto Botanico?
«Innanzitutto, il platano di Scopoli: è il nostro guardiano gigante, i simbolo dell’Orto, nonché albero monumentale nazionale. Poi, le rose tanto amate dalla città. E quella che è una collezione esclusiva dell’Orto botanico, la collezione del tè pavese: un’aiuola di Camelia sinensis Ticinensis che era stata introdotta durante il periodo autarchico, quando l’Italia doveva essere autonoma in tutto. Non si pensava che potesse resistere al clima pavese e invece si è ben adattata. Molto belle, secondo me, sono le collezioni delle Serre di Scopoli. Le Serre stesse sono un patrimonio dal punto di vista architettonico, in quanto progettate dall’architetto Piermarini, progettista anche della Scala di Milano. Merita una visita anche la collezione di Isoëtes malinverniana: potrebbe magari sembrare poco coinvolgente dal punto di vista estetico, ma ha un’estrema importanza dal punto di vista conservazionistico perché è una delle piante endemiche della pianura padana occidentale maggiormente minacciata di estinzione».
Un’ultima curiosità: quali sono stati i nomi che hanno contribuito alla fama del nostro Orto Botanico?
«Da donna non posso che citare per prima Maria Teresa d’Austria: è grazie alla sua lungimiranza se oggi Pavia ha un orto botanico. Poi, il direttore Santo Garovaglio che nel 1853 corresse i nomi sbagliati delle piante e realizzò cartellini identificativi di ogni esemplare. Non solo a scopo didattico, ma anche divulgativo, in quanto l’Orto Botanico per la prima volta aprì regolarmente al pubblico. Mi piace anche ricordare Raffaele Ciferri, un direttore multitasking che negli anni ’40 ha dato all’Orto Botanico il suo aspetto attuale costruendo il monumentale scalone, ridisegnando le aiuole, installando statue e fontane e mettendo a dimora una grande collezione di rose. Anche il suo successore, Ruggero Tomaselli, merita una menzione perché è stato tra i primi a parlare in modo importante del tema della conservazione della natura. I direttori che si sono succeduti dopo questi grandi nomi non sono meno importanti, però hanno avuto una direzione più breve. Una volta si era direttore a vita e si poteva lasciare un’impronta più profonda».