San Rocco fu un pellegrino e taumaturgo francese, nel medioevo e ancora oggi il più invocato dai cattolici per la guarigione dalle malattie delle persone. San Bovo, anch’egli di origini francesi in epoca medievale, fu invece un cavaliere che si dedicò ai pellegrinaggi e alla penitenza e viene considerato il protettore degli animali. Entrambi hanno in comune che sono morti a Voghera e qui ne riposano i resti; il secondo, poi, è anche il santo patrono della città capoluogo dell’Oltrepò. Il loro culto è molto diffuso in tutto il mondo e capita spesso che in città arrivino alla spicciolata pellegrini in cerca di tracce e testimonianze di queste figure così importanti per la fede. Ma quanto i vogheresi ne sono consapevoli e quanto, soprattutto, si è fatto e si potrebbe fare per valorizzare questa peculiarità?
Certo è antipatico accostare il sacro e il profano ma è anche vero che, altrove, occasioni come queste sarebbero state da tempo valorizzate a beneficio dei fedeli e al contempo cercando di intercettare le opportunità di un turismo, quello religioso, che può portare anche benessere economico al territorio. Qualcosa in passato si è fatto. C’è anche un progetto, “Il cammino di San Rocco“, al quale si è iniziato a lavorare alcuni anni orsono e che ora potrebbe ripartire con rinnovato slancio. Ne è convinto Daniele Salerno, annoverato tra i massimi esperti europei della storia del santo guaritore e presidente del consiglio comunale di Voghera. Pochi giorni fa è stato a Montpellier e Rognonas per partecipare alle celebrazioni in onore di San Rocco, dove erano presenti autorità civili e religiose e decine di migliaia di pellegrini.
Alla mostra allestita per l’occasione, Salerno ha portato la copia degli statuti trecenteschi di Voghera che per la prima volta parlano del pellegrino guaritore: per l’occasione ha ricevuto anche un premio per aver contribuito a realizzare un gruppo di studi internazionale dedicato proprio al santo taumaturgo e Anne Marie Conte Privat, presidente dell’Association Internationale Saint Roch de Montpellier, gli ha concesso il titolo di Membre d’Honneur dell’importante sodalizio francese.
Dalla trasferta d’oltralpe, però, è rientrato anche con la disponibilità delle autorità civili e religiose a collaborare per rinsaldare i rapporti nel culto del religioso: un sogno che si realizza?
«In un certo senso sì. Una volta un monsignore che ho avuto la fortuna di conoscere e con cui ho collaborato per le mie ricerche, più di venti anni fa mi fece notare che noi pavesi abbiamo un’enorme fortuna e non l’avevamo ancora compresa. Il religioso si riferiva al fatto che il culto di San Rocco, il santo ancora oggi più venerato al mondo proprio perché considerato il protettore degli ammalati e degli infermi, era nato qui, a Voghera, la città dove egli è morto ma dove ancora ci sono le ossa di un braccio e la cassa dove ne venne custodito il corpo fino alla traslazione a Voghera nel 1483. Oggi, forse, sono ancora meno le persone consapevoli di questa grande ricchezza per la fede e per il culto di una figura così rilevante ma è arrivato il momento di attivarsi. Da qui può nascere qualcosa di simile a quanto già accaduto in altri luoghi di fede e di pellegrinaggio, qualcosa che può rappresentare un’enorme opportunità per la cristianità ma al contempo generare una ricaduta positiva per l’intero territorio».
Anche perché le opportunità del turismo religioso possono essere molteplici e positive, visto il fermento che c’è attorno a San Rocco.
«Il caso della Francia è emblematico e l’ho visto io pochi giorni fa: in una nazione profondamente laica dove, per esempio, le autorità pubbliche non vanno alle cerimonie, a Montpellier si sono radunate decine di migliaia di persone per celebrare una figura il cui destino è stato indissolubilmente intrecciato alle nostre terre. Credo che sia una questione di tipo religioso e culturale: da noi il culto dei santi è piuttosto rarefatto, salvo alcune figure di particolare rilevanza che però sono venerate a macchia di leopardo e, forse, soprattutto in alcune regioni del sud. Ma San Rocco è davvero un pilastro della cristianità, al pari di altri santi forse più conosciuti: e a conferma di quanto ancora oggi sia profondamente venerato c’è l’altissimo numero di chiese e cappelle votive che gli sono dedicate».
Il motivo di tutto questo fermento?
«Perché San Rocco curava le malattie degli uomini a cominciare dalla peste, così come l’altro santo che è legato a Voghera, San Bovo, curava gli animali. Il loro culto era venerato sin dal medioevo, e ci sono le testimonianze documentali. Pensate che in quel periodo la nostra città contava cinquemila abitanti mentre, per esempio, Torino soltanto quattromila. E il motivo, che tra l’altro favoriva la migrazione delle persone e dei primi pellegrini, era proprio perché erano due guaritori: quando a un agricoltore si ammalava il bestiame, pregava San Bovo; quando ad avere bisogno di preghiere era un bambino, ecco che la famiglia si rivolgeva a San Rocco. E a ulteriore conferma di quanto il santo di Montpellier fosse venerato, c’è il fatto che durante la pestilenza, il doge di Venezia ordinò di rubarne la salma che era custodita a Voghera e oggi è nella città lagunare».
E come mai invece qui da noi non c’è altrettanta attenzione?
«Probabilmente non ce n’è neppure consapevolezza e forse perché, in generale, c’è poca promozione delle nostre bellezze e delle nostre eccellenze. È vero che fino a vent’anni fa non si sapeva neppure con certezza che Rocco da Montpellier fosse morto a Voghera a causa di un errore di trascrizione: dobbiamo a Paolo Ascagni, un bravissimo studioso con cui ho avuto il privilegio di collaborare, il merito di aver fatto ordine nei documenti e il testo cruciale risale al 1391, dove già lo si proclamava santo per volontà popolare. Pensi che sono arrivati pellegrini anche dalla lontana India per vedere la reliquia e la cassa che ne custodiva la salma e noi, magari, non lo sappiamo. Ma è un difetto tipico di chi vive qui, e adesso non parlo soltanto di San Rocco o di Voghera: lo abbiamo notato tutti, viaggiando, che all’estero sono più bravi a valorizzare qualunque banalità mentre noi che viviamo immersi, circondanti dal bello, non ce ne rendiamo conto e non sappiamo parlarne. L’Oltrepò in tal senso è uno scrigno prezioso».
Qualche idea per valorizzare questa tradizione c’è già: recentemente si è parlato anche di un cammino di pellegrinaggio… Di cosa si tratta?
«In realtà stiamo pensando a cose semplici ma significative che potremmo valorizzare integrandole, per esempio, ai tracciati della via Francigena: c’è già un progetto realizzato da un docente oltrepadano per collegare Sarmato, la città dell’Emilia Romagna dove San Rocco si era rifugiato durante la pestilenza, a Voghera. I pellegrini possono percorrere il tragitto a piedi, oppure in bicicletta e a cavallo. Sono previste delle stazioni intermedie: Castel San Giovanni e da qui, costeggiando il Po e la via Emilia, anche Stradella, Broni, Casteggio; ad ogni tappa si ottiene un timbro che testimonia il cammino di fede fino a conseguire, arrivati a Voghera, lo status di pellegrino. In palio non c’è un particolare premio ma il rafforzamento nella fede che è il bene più prezioso per chi crede. E, certo, tutto questo ha una ricaduta importante anche sul territorio».
I tempi?
«Non saranno brevi ma, come diceva qualcuno, non poniamo limiti alla Provvidenza… In Francia ho già ottenuto la disponibilità a collaborare di Anne Marie Conte Privat, presidente dell’Association Internationale Saint Roch e ci sono già stati contatti con le realtà che gestiscono anche il Cammino di Santiago di Compostela. Dall’Italia ho ricevuto in pochi giorni molte attestazioni di stima e disponibilità a collaborare: nei prossimi giorni incontrerò le istituzioni del territorio, le amministrazioni comunali e le Diocesi perché è un’opportunità che può essere colta con l’aiuto di tutti. Però c’è molto da fare, soprattutto sul piano logistico: dove accogliere i pellegrini che hanno bisogno di rifocillarsi e dove farli pernottare? A Santiago c’è anche il servizio con i pulmini che trasportano gli zaini dei pellegrini più anziani: noi riusciremo a trovare volontari disposti a garantire anche questi servizi? Ora è tutto da costruire. Per fortuna, non essendo un progetto con finalità economiche, non abbiamo fretta di concretizzare subito, ma possiamo permetterci di avanzare a tappe: confidiamo nelle anime di buona volontà che vogliano realizzare un’opera importante e i cui benefici, per quanti hanno il dono della fede, saranno soprattutto in futuro».