di Raffaella Costa
Fabbrica Poggi è un centro culturale e spazio espositivo nato dal recupero dell’ex sede dell’azienda Poggi, storica realtà dell’arredamento italiano attiva dal secondo dopoguerra fino al 2005. Oggi ospita una collezione permanente dei mobili prodotti dall’azienda, tra cui pezzi iconici progettati da designer come Franco Albini, Vico Magistretti, Marco Zanuso e altri. Accanto alla mostra permanente, sono presenti un archivio storico con disegni, schizzi e fotografie, una biblioteca specializzata e spazi per mostre temporanee, workshop e eventi legati al design e all’arte. Fabbrica Poggi si trova in via Campania 5 a Pavia ed è inserita nel circuito lombardo dei musei del design.
Nata da un’idea originale e diventata in pochi anni un punto di riferimento culturale per Pavia e non solo, Fabbrica Poggi è molto più di un museo del design. È uno spazio dinamico, ospitato nell’ex sede dell’omonima azienda di arredamento, dove ogni mostra è un esperimento, un dialogo tra passato e presente, tra pezzi iconici e nuove espressioni artistiche. Ne parliamo con Carlo Poggi, ideatore e fondatore del progetto.

Carlo Poggi
Come nasce Fabbrica Poggi?
«Fabbrica Poggi nasce da un’idea, forse oggi meno inedita, ma che quando l’ho avviata, subito dopo il Covid, era originale per la città. Certo, basta andare a sud di Milano per vedere che è ormai quasi una tendenza utilizzare spazi ex industriali per fare mostre. Ma la vera chiave, secondo me, è un’altra: l’originalità, la curiosità, il dare all’evento che si presenta un titolo intrigante. È questo che attira davvero il pubblico».
Quando è partita ufficialmente l’attività?
«Il primo vero evento è stato a settembre 2022, appena le normative post-Covid lo hanno permesso. Prima di allora avevamo fatto solo qualcosa di molto privato, quasi “carbonaro”. La mostra inaugurale si intitolava Pink Materials, ed esponeva le opere di quattro artiste donne: ceramica, acquerelli, quadri, oggetti in vetro. È stato un grande successo».

L’hangar di Fabbrica Poggi è lo spazio eventi
Come sceglie i temi delle mostre?
«All’inizio mi sono basato sulle mie conoscenze, soprattutto nel mondo dell’architettura, e sulle amicizie con persone appassionate. Poi ho iniziato a fare qualche passo in avanti, cercando temi più strutturati. Quasi tutte le mostre sono integrate nel museo: lo spazio è flessibile, con pezzi montati su bancali che posso smontare e rimontare in mezza giornata. Ho un magazzino da cui scelgo gli oggetti più adatti da accostare alle opere esposte. Così nascono mostre che non sono mai monografiche: non troverete mai “solo quadri” come in una galleria d’arte. Ci sono quadri, lampade, sedie, oggetti, sempre in dialogo tra loro».
C’è un pezzo a cui si sente particolarmente legato?
«Sicuramente il tavolino Cicognini, un classico della Poggi. Ma ci sono anche tanti altri pezzi che magari non colpiscono subito l’occhio, ma raccontano l’eccellenza artigiana della nostra falegnameria. Parlo di dettagli tecnici, come un giunto tra una gamba e un bracciolo, che per me sono come i particolari nascosti di un’automobile: c’è chi guarda solo il design globale, chi invece apprezza anche l’ingegneria e la raffinatezza dei meccanismi. Da questo punto di vista ci sono oggetti che definirei geniali, come quelli dei fratelli Castiglioni. Li conoscono in molti, ma per me rappresentano davvero la storia del design italiano, e ricordano un periodo irripetibile».

TN6 Tavolino Cicognino, 1953
Fabbrica Poggi è diventata in poco tempo un riferimento. Qual è il segreto?
«Credo sia proprio questa contaminazione continua, il fatto che ogni mostra non è mai la stessa, che ogni pezzo racconta qualcosa di più. E soprattutto la libertà di accostare mondi diversi».
Una delle caratteristiche più sorprendenti di Fabbrica Poggi è la capacità di far dialogare pezzi degli anni ’30 con oggetti modernissimi. Come alcune lampade che esposte: il suo sguardo non è solo nostalgico, ma guarda decisamente al futuro.
«Assolutamente sì. Ad esempio, ho selezionato una ditta che produce lampade molto interessanti, secondo me con grande potenziale. Mi piace coinvolgere produttori — anche giovani — e aiutarli a farsi conoscere, magari partendo proprio dal nostro territorio. A Pavia, infatti, al di là degli ottimi negozi di arredamento, non esisteva fino a prima di Fabbrica Poggi un vero spazio espositivo dedicato al design in senso culturale».

Luisa, la sedia da Compasso d’oro
Quindi Fabbrica Poggi diventa anche una sorta di vetrina per nuove realtà?
«Esattamente. Mi piace pensare che questo spazio possa essere una piattaforma per chi vuole raccontarsi, presentare i propri prodotti e trovare visibilità anche nel mercato locale».
Quanti pezzi conta oggi la sua collezione?
«La produzione Poggi, nel corso degli anni, ha realizzato 95 pezzi in serie continua, a cui si aggiungono numerosi modelli speciali o fuori produzione. Tutti questi sono documentati nei nostri archivi. Io stesso ho acquistato nel tempo diversi pezzi Poggi che non avevo in collezione. Oggi ne possiedo circa il 50% del totale storico».
E non tutti hanno avuto lo stesso successo, immagino.
«No, ovviamente. Alcuni pezzi sono diventati iconici, altri meno. Ma ogni oggetto ha il suo valore, la sua storia, la sua logica progettuale».

Una parte dell’archivio
Il prossimo passo è l’archivio?
«Esatto. Stiamo lavorando per ottenere finanziamenti: l’obiettivo è digitalizzare tutto il materiale disponibile. Parliamo di disegni tecnici — anche in scala 1:1 —, documentazioni di produzione, schizzi originali dei designer… abbiamo veri tesori: schizzi di Albini, Magistretti, Zanuso. E poi un’importante documentazione fotografica, con tante immagini storiche da valorizzare».