Pavia è una di quelle città che, pur non essendo sviluppate in altezza, regalano sempre qualche sorpresa se ci si concede il lusso di alzare gli occhi e osservare attentamente i particolari, soprattutto quelli delle facciate delle vecchie chiese e dei palazzi che hanno sempre una storia da raccontare.
Chissà quanti saranno passati centinaia di volte in Strada Nuova per lo struscio del fine settimana, senza accorgersi di una ‘presenza’ incombente e inusuale.
Bene, è tempo di recuperare. Approfittate di una serata tranquilla, uscite a fare due passi in centro e camminate fino al civico 56. Alzate la testa e incastonato nella facciata del palazzo, troverete la figura di un angelo di marmo con un braccio teso nella direzione del fiume.
Per conoscere il suo significato bisogna fare un tuffo nel passato. Siamo nel 1600, in tempo di pestilenza. La morte nera infuriava sulla città e la popolazione era flagellata e decimata.
La leggenda narra che ogni notte, all’esterno dei palazzi, si presentasse un angelo rosso, portatore di morte. L’angelo rosso si scagliava contro i portoni per vibrare colpi. Ogni colpo un presagio di disgrazia e un componente della famiglia che non si sarebbe più svegliato. Ma il vescovo della città, San Damiano, fece arrivare da Roma la reliquia del braccio di San Sebastiano che, dopo essere stata portata in processione dai fedeli, compì il miracolo di animare un altro angelo, l’angelo bianco, che riuscì a mettere in fuga l’angelo rosso liberando la popolazione dall’epidemia.
L’effigie dell’angelo liberatore fu fatta murare a imperituro ricordo di quel miracolo ed è ancora visibile, nella sua posa autoritaria che evoca la cacciata e la liberazione della città da morte e sofferenza.
(Lara Vecchio)