di Claudio Micalizio
Nella mappa agricola dell’Oltrepò Pavese, Cascina La Grossa alle porte di Voghera andrebbe evidenziata graficamente con l’enfasi di un autentico centro nevralgico, non soltanto perché è il cuore pulsante di una delle aziende più longeve – ma al contempo moderne – del settore ma soprattutto perché, negli ultimi decenni, in questo imponente complesso circondato dal verde nel mezzo di una infinita distesa di campi si sono poste le basi per organizzare, in modo efficiente e competitivo, un comparto strategico per l’intero tessuto socioeconomico del territorio.
Le decisioni più importanti sono sempre state prese nel “pensatoio”, com’è tuttora chiamata la sala che ci accoglie appena varchiamo la porta di ingresso del corpo principale dell’azienda: tra pareti color ocra puntellate di fotografie d’epoca e grafici pluviometrici, Gianluigi Stringa era solito definire con familiari e collaboratori le linee gestionali dell’azienda ma anche incontrare, insieme agli altri produttori, i vari rappresentanti di categoria, oltre a politici e amministratori, per immaginare il futuro delle colture d’elezione di quest’area al crocevia tra Lombardia e Piemonte.
Le sorelle Laura e Silvia Stringa, titolari della società Gls, rappresentano la terza generazione di una famiglia che ha fatto davvero la storia dell’agricoltura oltrepadana e che, oggi più che mai, è proiettata con slancio ed entusiasmo verso il futuro e l’innovazione per poter affrontare le tante complessità contemporanee di un settore, quello primario, strategico per l’economia nazionale ma in fondo ancora oggi poco compreso e valorizzato: la loro azienda si estende per 120 ettari votati all’attività cerealicola e orticola, con produzioni interamente dedicate alla filiera agroalimentare (in particolare pomodoro da industria, patata e cipolla) e quindi con standard elevatissimi di qualità, igiene, sicurezza e tracciabilità.
Il vostro ingresso ufficiale in azienda risale ai primi anni ’90, ma probabilmente questo mondo ha sempre fatto parte delle vostre esistenze, sin da bambine.
«A casa nostra si parlava sempre di agricoltura – ammette Laura Stringa -: quando ci incontravamo a pranzo e a cena, ovviamente, facevamo i discorsi tipici di ogni famiglia ma poi si finiva sempre a parlare dell’azienda che per noi è davvero una proiezione, un’estensione del nucleo familiare. In realtà è così per ogni agricoltore: il rapporto che ci lega alla terra e al lavoro agricolo è di vero amore, un legame che va oltre la semplice passione per l’attività agricola ma che ti porta inevitabilmente a vivere in simbiosi con la natura: non è soltanto retorica dire che chi fa questo lavoro è il “custode del territorio”, perché è un dato di fatto dal momento che la terra e i suoi frutti danno da mangiare ai consumatori e, di riflesso, a noi che la coltiviamo e da qui deriviamo anche il nostro reddito».
«Per noi – interviene Silvia – è stato naturale, dopo aver ultimato gli studi, subentrare progressivamente nella gestione dell’attività di famiglia. Tutto è nato da nonno Francesco che iniziò l’attività nel dopoguerra e oggi questa azienda, con le sue cascine dalla struttura tipicamente lombarda, è classificata come realtà storica che va preservata e richiede particolare cura e rigore nella manutenzione: tutto questo è meraviglioso, ma anche molto impegnativo da gestire, e rientra in quella cura e in quell’attenzione per il territorio che il nostro lavoro richiede da sempre. Ma il rispetto della tradizione agricola non significa arretratezza o immobilismo: se è vero che l’agricoltura negli ultimi decenni è cambiata tantissimo, questa azienda ha sempre precorso i tempi sia nelle modalità di gestione che nella capacità di pensare oltre ai propri meri interessi».
In che senso?
Spiega Laura Stringa: «Qui, nel pensatoio, grazie alla mentalità lungimirante di nostro padre e a tante persone che avevano a cuore la vocazione agricola dell’Oltrepò, in tempi non sospetti sono nate quelle associazioni di produttori e quei consorzi che operano in ambito cerealicolo, bieticolo e orticolo e che oggi sono diventate realtà intermedie importantissime per consentire agli agricoltori di dialogare con le società dell’industria agroalimentare e con la grande distribuzione, alle quali devono vendere i loro prodotti: oggi, termini come filiera agroalimentare e cooperazione sono di grande attualità ma qui, in provincia di Pavia, abbiamo iniziato a parlarne e a realizzarli decenni fa con grande lungimiranza, visto come è progressivamente cambiato il nostro comparto. E oggi riuscire a garantire qualità di prodotto in un contesto sempre più competitivo è la sfida più impegnativa: la regola, ormai, è diventata “vendere per produrre” perché non ha senso coltivare la terra se non si sa già chi, a fine raccolto, acquisterà il prodotto».
Basta questo aspetto a dirci quanto sia cambiata l’attività agricola: l’opinione pubblica, probabilmente, è ancora legata all’immagine stereotipata del contadino che semina e aspetta che la natura faccia il suo corso.
«Questo in realtà accade anche oggi – interviene Silvia Stringa – ma è davvero un ritratto limitativo del nostro lavoro, meraviglioso ma sempre più complesso. Ogni attività, ogni fase va studiata a tavolino e messa in atto con precisione e rigore. Come ripeto spesso, oggi l’agricoltore non deve raccogliere soltanto prodotti, ma anche dati: la tecnologia è fondamentale per cercare di essere competitivi. Nella nostra azienda abbiamo sempre investito in questo settore e, anche qui, facendo un po’ da precursori. Non penso soltanto ai trattori, che ormai si guidano da soli, ma anche a tutte quelle innovazioni che oggi possono fare la differenza: i nostri tre corpi aziendali, per esempio, sono dotati di impianti di irrigazione sotterranei che pescano direttamente dai nostri pozzi in profondità, e questo oggi è fondamentale per il rispetto che si deve culturalmente alla risorsa idrica e, soprattutto, per poter fronteggiare i problemi di siccità che sono diventati sempre più frequenti. A tal proposito, la nostra azienda si è dotata da tempo di una propria stazione meteorologica che raccoglie ed elabora costantemente dati importantissimi per programmare le varie fasi dell’attività: l’evoluzione del meteo, ormai, è sempre più decisiva in tutte le fasi, dalla semina al raccolto e questi dati diventano cruciali per decidere come e quando intervenire, ben sapendo che però il clima sta diventando sempre più imprevedibile e l’agricoltura non può aspettare. Nella nostra attività non c’è un tetto sulla testa».
Questo significa anche essere sempre operativi e pronti a intervenire?
«Esattamente, ed è il motivo per il quale diventa sempre più difficile trovare manodopera che nonostante tutta la tecnologia resta fondamentale – ammette Laura Stringa -: questo è un lavoro di pianificazione ma anche di scelte e di azioni repentine, sempre con un occhio al cellulare dove l’afflusso dei dati meteorologici è costante. Se c’è da seminare o da raccogliere prima che cambi il tempo, si agisce subito per evitare che una precipitazione impatti sulla maturazione o peggio ancora del raccolto: e allora ci si sveglia nel cuore della notte o si lavora fino a tarda ora, sette giorni su sette e anche i festivi se necessario. Oggi l’agricoltore non teme soltanto il maltempo: con il caldo e la siccità, abbiamo dovuto cambiare anche gli orari di lavoro: per tutelare il collaboratore ma anche il prodotto che, a seconda dell’orario in cui si raccoglie, rischia di bruciare sul nastro trasportatore se non siamo veloci».
«Oggi in questo lavoro non si può più sbagliare – interviene Silvia Stringa -, anche perché i costi sono proibitivi: l’energia e le altre tariffe, come le sementi e le altre materie prime, i fertilizzanti e gli agrofarmaci, ma anche la tecnologia e la ricerca richiedono grandissimi investimenti. Ma soltanto l’uomo può vigilare nel migliore dei modi: e allora ogni giorno dobbiamo attraversare i campi per vedere se il ciclo produttivo procede regolarmente, così da evitare l’insorgere di funghi o altre malattie che potrebbero modificare il raccolto. Tutto questo per cercare di ottenere la resa migliore ed evitare di compromettere un’intera annata di lavoro. Con in più un aspetto tutt’altro che secondario: i prezzi sono rimasti gli stessi di 30 anni fa, e questo rende sempre meno redditizia questa attività che però resta strategica per l’umanità, perché sfama il mondo, e perché per chi lo ama resta il lavoro più bello. Noi siamo felici di poterlo svolgere, ma forse sarebbe opportuno che anche l’opinione pubblica comprendesse il valore strategico di questo settore: oggi non c’è più il contadino ma l’imprenditore agricolo».
A proposito di stereotipi sulla vostra attività, in alcune interviste vi hanno definite “un’impresa in rosa”: quanto è ancora motivo di stupore vedere una donna alla guida di un’azienda agricola?
«Quando abbiamo iniziato – ricorda Laura Stringa – c’era scetticismo e anche un po’ di ironia, soprattutto in alcuni ambienti. Poi per fortuna la mentalità è un po’ cambiata. Dal canto nostro, siamo riuscite a dimostrare con i fatti il nostro valore gestendo questa azienda in modo sempre più moderno ed efficiente: diciamo che, rispetto all’uomo, la donna opera con maggior sensibilità e più attenzione ai dettagli ma, se serve, deve sapere svolgere anche tutte quelle attività polverose e stancanti che hanno sempre fatto pensare che l’agricoltore fosse una professione maschile. Come diciamo sempre da queste parti… la terra è bassa! Ma noi andiamo avanti, e stiamo già preparando il passaggio alla quarta generazione: Camilla, mia figlia, ci sta già dando una mano e non sarà l’unica…».
Ma a voi capita di frequente di dover smettere i panni delle imprenditrici per infilarvi quelli di agricoltori?
Laura e Silvia si scambiano uno sguardo di intesa e sorridono: «Questa mattina – dice Silvia – sono uscita di casa ben prima delle 6 e stanotte, prima di addormentarmi, guarderò ancora un’ultima volta il telefonino per vedere le previsioni meteo. Ma se serve saliamo sul trattore o andiamo in campo a controllare la semina. Oggi sembrano davvero lontanissimi gli anni d’oro dello zuccherificio di Casei Gerola, quando per la raccolta bieticola c’erano centinaia di volontari: non si trova manodopera e ancor meno se deve essere qualificata per rispettare gli standard moderni e le normative. E poi, magari, capita che trovi una persona valida ma che, dopo qualche giorno, ti chiama per dirti che l’impegno è troppo pesante e rinuncia. Ed è un peccato perché questo, pur tra mille sacrifici, resta il lavoro più bello ed entusiasmante».
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