Nascosto tra le colline, un ortaggio dal cuore tenero e dalle antiche origini continua a prosperare, sfidando il tempo e le mode: il Carciofo tardivo dell’Oltrepò pavese, localmente chiamato “Articiòc”. La sua storia affonda le radici in un passato lontano, con testimonianze che lo annoverano tra le prelibatezze di questa terra fin dal lontano ‘500.
Un tuffo nel passato ci porta al “Registro delle spese di Bernardo Sacco” (1568-1577), dove compaiono i “carciofoli nostrani”, segno di una presenza radicata nel territorio. E come non rimanere affascinati dai festoni di frutta, verdura e fiori che adornano la Sala degli affreschi del Collegio Borromeo a Pavia, risalenti all’inizio del XVII secolo, un omaggio alla ricchezza agricola locale? Addirittura, documenti notarili del 1764 testimoniano la coltivazione del carciofo nell’Oltrepò, nei pressi di Codevilla, rivelando un legame secolare con questa terra.
Ma cosa rende così speciale questo “Articiòc”? Nonostante la sua denominazione “tardivo”, che lo vede protagonista della primavera inoltrata (aprile-maggio, persino giugno), la sua peculiarità più apprezzata è la totale assenza di spine. Un dettaglio che lo rende un vero piacere da raccogliere e da gustare.
Le giovani gemme fiorali, i teneri capolini, e a volte anche il fusto giovane, sono i veri protagonisti della tavola locale. Immaginate un cremoso risotto che ne esalta il sapore delicato, oppure un contorno sfizioso di carciofi trifolati, perfetti per accompagnare le carni ovine durante le festività pasquali. E a Montù Beccaria, un tempo, l’Articiòc era l’ingrediente segreto di una saporita torta salata, testimoniando la sua versatilità in cucina.
La sua riproduzione è un rito che si ripete di anno in anno per via vegetativa, attraverso i “figli” o “carducci”, i ricacci che spuntano alla base delle piante madri in primavera. Questa pratica clonale garantisce l’omogeneità del prodotto finale, preservando le caratteristiche uniche di questa cultivar tramandata gelosamente di famiglia in famiglia. A Mondondone, ad esempio, la famiglia Doria afferma di coltivare la stessa varietà da tempo immemore.
Il carciofo tardivo dell’Oltrepò si presenta con una taglia media e un colore verde chiaro, un tratto distintivo rispetto ad altre varietà. Il capolino centrale è piuttosto grande, di forma ellittica, con una cima leggermente aperta. Le brattee esterne, di un verde tenue con sfumature violacee solo nella parte inferiore, terminano con un piccolo mucrone apicale. Curiosamente, nella zona di Oliva Gessi, si trova una variante con capolini globosi e più grandi, a testimonianza della diversità all’interno di questo stesso territorio.
La sua raccolta tardiva lo distingue dalle varietà più precoci provenienti da altre regioni italiane. Ma questa “lentezza” è anche la sua forza: è una pianta resistente alle malattie e non richiede cure particolari.
Fino alla metà degli anni ’70, il carciofo dell’Oltrepò era un protagonista dei mercati locali, venduto direttamente o tramite negozi di primizie a Voghera e Codevilla, ma anche attraverso grossisti. L’arrivo sempre più massiccio di carciofi precoci da altre regioni e paesi ha gradualmente ridotto questa attività commerciale, ma non ha scalfito la passione degli agricoltori locali per questo tesoro verde senza spine.