Il 10 novembre 1968 è una data storica per la comunità pavese e la Certosa di Pavia, un giorno in cui la tradizione monastica torna a infondere vita e spiritualità in questo antico luogo di preghiera. Dopo anni di incertezze e controversie, la Certosa, chiusa al culto dagli inizi degli anni ’60, è stata finalmente restituita ai Cistercensi, provenienti dall’abbazia di Casamari, con una cerimonia solenne.
Sin dal 1963, quando i Padri Carmelitani Scalzi avevano lasciato la Certosa, il complesso monumentale era rimasto senza una comunità stabile. La messa domenicale veniva celebrata solo nella cappella di sant’Anna, all’interno della foresteria, dal parroco locale don Giovanni Vacchini. La situazione della Certosa suscitava l’attenzione di autorità ecclesiastiche e civili, ma nonostante il fervente desiderio della cittadinanza di vederla riaperta al culto, il cenobio rimaneva chiuso, gestito come un museo dallo Stato.
Dopo anni di discussioni, la svolta arriva nel 1966 con la notizia che i monaci Cistercensi avrebbero assunto la custodia del monastero e della basilica, trasformando di nuovo la Certosa in un luogo di raccoglimento. La comunità pavese accolse la notizia con entusiasmo: la Certosa sarebbe tornata a essere “tempio di Dio e casa di orazione,” secondo la volontà del suo fondatore.
Il 10 novembre 1968, la cerimonia di reinsediamento è seguita da una folla immensa: alle 14:30, una marea di fedeli si raduna lungo il viale alberato e intorno alle mura della Certosa per accogliere i nuovi custodi del luogo. I monaci, guidati dal priore don Vittorino, faticano a farsi strada tra la folla per raggiungere l’atrio della basilica, dove vengono accolti dalle autorità religiose e civili, tra cui il capitolo della cattedrale di Pavia e il sindaco di Certosa di Pavia.
La processione è un momento di grande intensità, simbolo di unione tra la comunità e il luogo sacro che per tanto tempo è stato privo della sua dimensione spirituale. L’arrivo dei Cistercensi segna così una nuova era per la Certosa di Pavia, che torna a essere “santuario mariano, inestimabile tesoro di fede, di civiltà e d’arte,” grazie alla dedizione dei monaci e al desiderio della cittadinanza di vedere l’antico cenobio ripopolato e animato da nuova vita.