L’episodio dell’insurrezione mazziniana a Pavia nel 1870 è uno degli ultimi tentativi rivoluzionari di ispirazione repubblicana nel Risorgimento italiano. Questo evento si colloca in un periodo di grande instabilità politica, alla vigilia della presa di Roma (20 settembre 1870), che avrebbe segnato la fine dello Stato Pontificio e il completamento dell’unità d’Italia.
Il contesto storico
Nel marzo del 1870, in diverse città italiane si verificano moti insurrezionali organizzati da gruppi repubblicani vicini a Giuseppe Mazzini. Il loro obiettivo era abbattere la monarchia sabauda e instaurare una repubblica. Tuttavia, questi tentativi non ebbero successo, sia per la scarsa adesione popolare sia per la reazione rapida dell’esercito.
Uno degli episodi più significativi avvenne a Pavia il 24 marzo 1870, quando un gruppo di insorti assaltò la caserma del Lino, sede di un battaglione del 42° Reggimento Fanteria della Brigata Modena. Il gruppo era guidato da Pietro Barsanti, caporale dell’esercito italiano, che fece irruzione nella caserma di San Francesco al grido di “Viva Roma, viva la Repubblica”.
Il fallimento dell’insurrezione
Nonostante il fervore rivoluzionario, l’insurrezione fallì rapidamente. La reazione dei soldati della Brigata Modena fu immediata e costrinse i rivoltosi alla fuga. Lo scontro lasciò tre morti sul terreno, e Barsanti venne catturato. Il suo destino fu segnato: fu fucilato il 27 agosto 1870 nel Castello Sforzesco di Milano.
L’origine del termine “Patatrac”
Secondo lo scrittore pavese Mino Milani, che nel 2013 ha dedicato al fatto il libro Patatrac (Ed. Barion), proprio da questo episodio deriverebbe il termine. “Patatrac” sarebbe stato usato per descrivere il fragore del fallimento della rivolta, un rumore secco e improvviso, simbolo della disfatta repubblicana a Pavia.
Anche se oggi il termine patatrac è usato nel linguaggio comune per indicare un disastro improvviso o un crollo, il suo legame con la storia del Risorgimento pavese offre una prospettiva affascinante e poco conosciuta.