Una lunga passeggiata tra le vie della città, con lo sguardo attento ai monumenti e alla storia, ma anche alla bellezza del luogo, al suo fascino e alla straordinaria posizione tra le Alpi e l’Appennino: è questa la visione di Pavia che Francesco Petrarca volle raccontare nella famosa lettera datata 17 dicembre 1365. Il sommo poeta si rivolse al caro amico Giovanni Boccaccio, condividendo l’incanto provato e il desiderio che anche il celebre prosatore potesse vivere quell’esperienza unica.
Petrarca, ospite più volte alla corte di Galeazzo II Visconti tra il 1363 e il 1369, rimase profondamente colpito dalla città, all’epoca già crocevia di cultura e storia. Pavia, che solo da poco aveva acquisito il suo nome attuale, si presentava adagiata lungo le sponde del Ticino, dominata dalle sue caratteristiche torri e dalle architetture che ne delineavano l’anima antica e vivace.
Il poeta si sofferma anche sul clima gradevole della città, un dettaglio che ci fa riflettere su quanto grande sia stato lo sconvolgimento climatico degli ultimi secoli. Ciò che Petrarca sottolinea con particolare attenzione è il posizionamento di Pavia: una città che sorge su un’altura che inizia dal Ticino e si estende fino al castello visconteo. Questo elemento rende la vista di Pavia straordinaria per chi giunge da fuori, un panorama di torri e campanili che facevano bella mostra di sé e offrivano uno spettacolo davvero suggestivo.
Tra i monumenti citati nella lettera compaiono anche il ponte vecchio («ponte in pietra di squisita fattura») e una statua equestre non meglio specificata. Questa statua, come sappiamo oggi, è quella del Regisole, collocata ancora oggi di fronte al Duomo in una sua riproduzione, poiché l’originale fu distrutta dai giacobini pavesi. Non è chiaro chi sia il personaggio raffigurato, ma si suppone possa trattarsi di un imperatore romano, a testimonianza dell’antica storia della città.
Il cuore della città in quel periodo era però il castello visconteo, che Petrarca cita per ultimo. Più che per la sua imponenza architettonica, il poeta lo menziona per la sua importanza culturale: sede di una corte vivace, il castello ospitava spesso artisti di fama e al suo interno si praticavano tutte le arti.
Nelle parole di Petrarca emerge una Pavia inedita, fotografata in un momento d’oro della sua storia. La città non è solo un luogo di passaggio o di prestigio politico, ma un tesoro culturale che il poeta riconosce e apprezza. La descrizione non si limita a evidenziare la bellezza paesaggistica o urbana: nelle righe della lettera, Petrarca coglie l’essenza stessa della città, fatta di arte, storia e spirito umano. Le torri, le chiese e le vie diventano simboli di una città capace di ispirare i grandi del suo tempo.
È suggestivo pensare a questa lettera come a un ponte epistolare tra due menti illuminate, Petrarca e Boccaccio, unite dall’amore per la cultura e dall’amicizia. Il desiderio di Petrarca di condividere la sua esperienza pavese con Boccaccio ci restituisce l’immagine di una città che, già nel XIV secolo, sapeva affascinare e accogliere con il suo charme senza tempo.
Tra i punti fondamentali della lettera c’è anche il riferimento alle tombe di Sant’Agostino, Severino Boezio e Liutprando. Questo passaggio rivela un messaggio chiaro di Petrarca non solo per Boccaccio ma anche per i pavesi stessi. Ricordando i nomi di Sant’Agostino e Boezio in particolare, il poeta sperava che gli abitanti acquisissero maggiore consapevolezza del glorioso passato della loro città e delle sue innumerevoli possibilità. Un appello fatto 650 anni fa ma valido ancora oggi.
Pavia, con la sua posizione privilegiata tra Alpi e Appennino, la sua ricca storia e il suo ruolo di centro culturale e politico, diventa così un luogo d’ispirazione immortale. Un messaggio che, a distanza di secoli, conserva ancora intatta tutta la sua potenza evocativa.