“Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste. Abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari a battaglioni affiancati, di librerie neanche una”.
Con queste parole, il 10 gennaio 1962, Giorgio Bocca apriva il suo reportage su Vigevano per il quotidiano Il Giorno. Un attacco incisivo e diretto, che andava contro le convenzioni del giornalismo dell’epoca, capace di catturare immediatamente l’attenzione del lettore. Vigevano, in quegli anni, era il cuore pulsante dell’industria calzaturiera italiana, una città ricca e operosa, ma secondo Bocca priva di prospettive culturali.
Nato a Cuneo nel 1920, Bocca è stato uno dei più grandi inviati italiani del Novecento. Partigiano tra le file di Giustizia e Libertà durante la Resistenza, iniziò la carriera giornalistica alla Gazzetta del Popolo di Torino, per poi approdare a testate come L’Europeo, Il Giorno, Repubblica e L’Espresso. Tentò anche la via della televisione, ma fu nella scrittura che raggiunse la sua massima espressione, raccontando luoghi, persone e atmosfere con uno stile inconfondibile.
Bocca apparteneva a quella generazione di giornalisti che consumavano le suole delle scarpe per trovare la verità. In un’epoca in cui la comunicazione globale offre infinite fonti digitali, il suo approccio resta un esempio per chiunque voglia raccontare il mondo con autenticità. Non si limitava a raccogliere fatti: assorbiva l’atmosfera dei luoghi, faceva parlare la gente, restituendo al lettore emozioni e sentimenti intatti.
L’articolo su Vigevano è un pezzo emblematico dello stile di Bocca e del suo modo di vivere il giornalismo: diretto, crudo, capace di cogliere contraddizioni e verità scomode. In un mondo in cui il giornalismo si affida sempre più spesso a strumenti digitali e fonti indirette, il suo lavoro ricorda l’importanza del contatto diretto con la realtà e del racconto autentico. Rileggere oggi quel reportage pubblicato il 10 gennaio 1962 ci permette di riscoprire non solo un grande maestro del giornalismo, ma anche una Vigevano che, tra ricchezza e contraddizioni, rappresentava uno spaccato unico dell’Italia del boom economico.