“Un grande campione della bicicletta pura, voglio dire della bicicletta da pista dei primissimi tempi, quando correre voleva dire avventura,” scrisse Emilio De Martino ricordando Federico Momo, morto a 79 anni il 7 giugno del 1958. Momo fu un’icona di quel ciclismo che, tra Ottocento e Novecento, affascinava folle e scommettitori agli anelli dei ciclodromi, dove la velocità e la forza muscolare erano le doti supreme.
Nato a Voghera, Pavia, l’11 novembre del 1878, Momo non tardò a imporsi tra i giganti della pista. Con un fisico straordinario per la sua epoca, “superiore alla norma”, come lo definirono i contemporanei, era celebre per le sue partenze anticipate e la resistenza su lunghi sprint, anticipando gli avversari “alla campana.”
Celebri furono i duelli con Luigi Pontecchi e Gian Ferdinando Tommaselli, sfide avvincenti che infiammavano il pubblico. Momo sviluppò una tecnica di potenza e resistenza con una bicicletta Peugeot costruita su misura, con un rapporto capace di generare una spinta ineguagliabile per quei tempi. Nel 1896, alla giovane età di diciassette anni, Momo vinse la sua prima grande competizione al ciclodromo milanese. Fu un trionfo inatteso contro i giganti della pista, che presto lo rese famoso in Italia e all’estero.
Ma il suo apice e la sua sconfitta più discussa arrivarono nel 1900, nel celebre Gran Premio di Parigi, quando fu coinvolto in un finale tanto incerto quanto amaro. In una gara serratissima contro il francese Edmund Jacquelin, Momo sembrava aver tagliato per primo il traguardo, ma i giudici assegnarono la vittoria all’idolo locale. Fu una decisione contestata che aumentò il fascino di Momo tra i tifosi italiani, tanto che la Gazzetta dello Sport organizzò una raccolta fondi per donargli una medaglia d’oro come riconoscimento morale.
Federico Momo continuò a correre in Europa e America Latina, alimentando il mito della sua figura con storie di vittorie e avventure che lo portavano fino alle terre innevate della Russia imperiale, tra dame eleganti e slitte sontuose. Dopo aver lasciato il ciclismo, non abbandonò la passione per la velocità, passando alle moto e infine all’automobilismo. Insieme a Romolo Buni, un antico rivale, contribuì alla fondazione della fabbrica di automobili “Junior” e avviò la costruzione dell’Autodromo di Monza.
Federico Momo si ritirò nella tranquillità della sua villa di Olgiate Comasco e nella tenuta agricola di Bressana Bottarone. Nel cuore di tutti, però, resterà sempre il “Diavolo volante,” un campione senza tempo che ha inciso la sua storia nelle pagine del ciclismo italiano.