Tra le mura maestose della Certosa di Pavia, in un angolo appartato della facciata, si nasconde un curioso bassorilievo. Un monaco, forse un certosino, è raffigurato mentre stringe con devozione una coscia di animale, suscitando da sempre la curiosità dei visitatori. Questa scultura, soprannominata “Il Santo del Prosciutto”, sembra quasi voler celebrare in modo ironico la leggenda di Guglielmo, l’umile certosino che, con coraggio e ingegno, salvaguardava le provviste del monastero dagli assalti dei briganti. Ma la storia del bassorilievo cela un mistero: l’animale raffigurato non è un maiale, come si potrebbe pensare, ma un altro animale. Un enigma che, ancora oggi, affascina studiosi e visitatori.
Alla Certosa di Pavia, in un tempo ormai lontano, viveva un certosino di nome Guglielmo. Il suo compito era quello di provvedere al sostentamento dei monaci, recandosi ogni giorno nelle vicine cascine per raccogliere le offerte. Un compito arduo, reso ancor più difficile dai frequenti assalti dei briganti che infestavano la zona.
Il Priore, preoccupato per la sorte del suo fedele converso, decise di intervenire. Con un guizzo di sagacia, e forse anche un pizzico di ironia, suggerì a Guglielmo di difendere le provviste utilizzando un’arma inusuale: la gamba della mula che trasportava il carico. “Brandisci la gamba contro i malfattori”, scherzò il Priore, “vedrai che fuggiranno inorriditi”.
Guglielmo, uomo di fede e di poche parole, prese alla lettera il consiglio del suo superiore. Durante il successivo assalto, con un gesto rapido e deciso, staccò la gamba della mula e la brandì contro i briganti. Spaventati da quell’immagine grottesca, i malviventi si diedero alla fuga, lasciando indenne il carico.
Tornato alla Certosa, Guglielmo riattaccò la gamba alla mula, ma con poca perizia. L’animale, zoppicante, manifestò il suo disagio. Il Priore, sorridendo, ordinò a Guglielmo di rimediare all’errore. Con una calma sorprendente, il certosino staccò nuovamente la gamba e la riattaccò nel verso giusto. La ferita si richiuse miracolosamente, senza lasciare traccia di sangue.