Immaginate per un momento l’Oltrepò Pavese trasformato in una distesa di derrick fumanti, con pozzi petroliferi che punteggiano le dolci colline dove oggi crescono le viti. Fantascienza? No, solo un sogno degli anni ‘800 che per poco non cambiò per sempre il destino di Salice Terme.
Mentre i primi visitatori dell’Ottocento si immergevano nelle acque termali di Salice per curare i loro malanni, sotto i loro piedi dormiva quello che sembrava essere un tesoro ben più prezioso. Le stesse forze geologiche che avevano creato le sorgenti termali curative avevano anche plasmato un sottosuolo che, agli occhi degli esperti dell’epoca, urlava una sola parola: petrolio.
Era un’epoca di febbre energetica. L’Italia, giovane nazione in cerca della propria indipendenza economica, guardava con invidia ai pozzi che stavano trasformando la Pennsylvania americana in El Dorado. E così, quando i geologi posarono gli occhi sulle particolari stratificazioni rocciose dell’Oltrepò, le speranze si accesero come fiamme di gas naturale.
Le caratteristiche del terreno erano effettivamente promettenti: rocce sedimentarie antiche, piegature tettoniche, tracce di idrocarburi in superficie. Tutti gli ingredienti per quello che i geologi chiamano una “trappola petrolifera” sembravano esserci.
Ma la natura, si sa, ama giocare brutti scherzi.
I primi sondaggi confermarono l’intuizione: c’era petrolio. Il problema? Era come trovare gocce d’oro in un deserto: presente, ma in quantità così ridicole da rendere qualsiasi sogno industriale un’amara beffa. Mentre in America sgorgavano geyser neri che potevano riempire barili su barili, a Salice Terme il petrolio sembrava uscire con il contagocce, quasi a malincuore.
Per anni, l’idea di trasformare l’Oltrepò nel “Texas padano” continuò a danzare nelle menti degli imprenditori più audaci. Si immaginarono scenari grandiosi: operai che sostituivano i viticoltori, raffinerie al posto delle cantine, una nuova ricchezza che avrebbe cambiato per sempre il volto di questa terra.
Ma i numeri sono spietati. Ogni sondaggio confermava la stessa verità amara: il petrolio c’era, ma era come cercare di riempire un bicchiere con una cannuccia bucata. L’investimento necessario per estrarre quelle modeste quantità avrebbe reso l’operazione economicamente assurda, un salasso finanziario senza ritorno.
Oggi, passeggiando per le vie di Salice Terme, è difficile immaginare questo passato alternativo. Le colline sono tornate alla loro vocazione naturale: verde, terme (in attesa di riapertura), impianti sportivi, tranquillità.
È curioso pensare a come sarebbe stato diverso il destino di questo angolo di Lombardia se la geologia fosse stata più generosa. Forse oggi non ci sarebbero state le eccellenti terme che attirarono visitatori da tutta Europa, né i pregiati vini dell’Oltrepò che fanno invidia alla Francia.
In fondo, il “fallimento” petrolifero di Salice Terme si è rivelato una benedizione mascherata. Mentre altre regioni del mondo pagano ancora oggi il prezzo ambientale dell’estrazione intensiva, l’Oltrepò Pavese ha conservato la sua bellezza incontaminata, le sue tradizioni enogastronomiche e quel fascino autentico che solo i luoghi rimasti “vergini” sanno offrire.