A pochi passi dal Ponte Coperto, proprio dove il Ticino abbraccia la città di Pavia, si nasconde un piccolo scrigno di storia: il Fondaco del Sale. Oggi lo si riconosce al civico 22 di via Porta Salara, ma il suo passato affonda le radici nella seconda metà del Trecento. Immaginatelo allora: un viavai incessante di barconi che risalivano il fiume carichi di sale, l’oro bianco del Medioevo.
Già dal XVI secolo (e forse anche prima) questo elegante palazzetto affacciato sull’acqua era al centro del commercio del sale. Qui arrivavano i carichi preziosi provenienti dall’Adriatico attraverso il Po e il Ticino, o quelli che, partendo da Genova, attraversavano gli Appennini e si lasciavano trasportare dolcemente dal Tanaro e dal grande fiume. Il sale stoccato nel fondaco non rimaneva a lungo: partiva rapido per alimentare le dispense di Milano, Como, Monza, Abbiategrasso, Varese e perfino il Regno di Sardegna, scivolando lungo una rete di canali e navigli che ancora oggi raccontano la gloria antica di Pavia.
Nel XVIII secolo, sotto l’occhio vigile del catasto teresiano, l’edificio risultava proprietà dei Domenicani di San Tommaso e manteneva la sua antica funzione di magazzino del sale. Un traffico silenzioso ma vitale per l’economia del tempo.
Oggi il Fondaco conserva ancora intatti alcuni dettagli affascinanti: al primo piano si possono ammirare delle bifore medievali – purtroppo senza la colonnina centrale – e una sequenza di finestre a sesto ribassato, un dettaglio architettonico che ritroviamo anche nella coeva casa Danioni. All’interno, nascosto agli sguardi frettolosi, si apre un cortile porticato, probabilmente rimaneggiato nei secoli, ma ancora capace di evocare immagini di mercanti affaccendati e sacchi bianchi che scrocchiavano sotto il peso del sale.
Un angolo di Pavia che racconta, in silenzio, storie di commerci, viaggi lunghi e città lontane, con il profumo dell’acqua e il sapore della storia.