Voghera non ama ricordare quel drammatico 23 agosto 1944 e non lo fa per superficialità o, peggio, disinteresse: se a distanza di 80 anni esatti pare non esserci adeguata memoria di una strage che provocò 90 morti, tanti feriti e molti più sfollati, è probabilmente per il desiderio di non riaprire una profonda ferita che nei più anziani aveva lasciato disperazione ma anche tanti interrogativi rimasti a lungo senza risposta. Del resto si era ormai nell’ultima parte della seconda guerra mondiale, le truppe americane e inglesi erano sbarcate nell’estate precedente in Sicilia e stavano risalendo la penisola: anche se era presto per festeggiare, il corso del conflitto sembrava scritto e in molti speravano che la sconfitta nazi-fascista fosse soltanto questione di tempo. Nessuno, invece, si sarebbe aspettato un bombardamento così cruento da parte degli alleati, tanto meno su Voghera e con così tante bombe. E invece è accaduto e va ricordato.
E’ con questo spirito che qualche anno fa Daniele Salerno, giornalista e storico di lunga esperienza, ha iniziato a indagare su una pagina drammaticamente dolorosa ma avvolta da un alone di mistero: quella strage fu un errore di calcolo oppure una dimostrazione muscolare? Impossibile capirlo, anche se la città era da sempre considerata un obiettivo sensibile perché considerata per le reti ferroviarie e la viabilità un quadrivio centrale nello spostamento delle merci e dei mezzi militari nel nord Italia: a fine conflitto, i dati ufficiali parlano di 132 vittime di cui, appunto, 90 solo in quel giorno d’estate di 80 anni fa. Fu una carneficina perché, contrariamente a quanto accaduto altre volte, i bombardieri americani non sganciarono le bombe in periferia o nelle zone di campagna ma in pieno centro storico e su obiettivi sensibili come l’ospedale, che venne colpito: tra le vittime, recuperate dai soccorritori accorsi a rimuovere le macerie, tantissimi neonati, bambini, madri e suore. Su questo drammatico episodio sono usciti due libri, “Bombe su Voghera” (del 2013) e “La strage degli innocenti” (2014) con cui l’autore era già riuscito a ricostruire quanto accaduto partendo da alcune testimonianze e riuscendo a recuperare documenti militari riservati. Ora, nel tondo anniversario del raid, ha firmato un terzo libro “Voghera distrutte dalle bombe – I mandanti, le cause, i morti: la soluzione dell’enigma”, in cui svela anche gli ultimi tasselli di un puzzle complicato.
Con l’ultimo capitolo di questa trilogia possiamo dire che la verità è stata svelata?
«Definitivamente perché siamo riusciti a recuperare tutte le informazioni che ancora mancavano – spiega Daniele Salerno. Attraverso la pubblicazione dei primi due libri, usciti ormai oltre dieci anni fa, avevamo cercato di delineare il quadro complessivo di quel momento di guerra così drammatico e doloroso per l’Oltrepò. Ma la ragione di fondo, quella autentica che potesse provare almeno a dare un valido motivo al disastro, sembrava non emergere. Sono stati necessari anni di ulteriori ricerche per risolvere il mistero e dare una risposta a un evento tragico della seconda guerra mondiale.La scoperta di nuovi e importanti indizi relativi alla morte di novanta vogheresi, a seguito dell’incursione americana del 23 agosto 1944, permettono di fare luce, definitivamente, su quanto avvenne in quella drammatica giornata. E così, dopo anni di indagini, emerge una sorprendente verità.»
Nel libro sono contenuti documenti ufficiali, fonogrammi, le trascrizioni di bobine militari, microfilm, fotografie e le testimonianze di chi all’epoca era un bambino: la città venne letteralmente stravolta…
«Le bombe avevano colpito in pieno il centro storico: piazza Meardi, via Emilia, corso 27 Marzo, via dell’Ospizio, via Crispi (che oggi conosciamo come via Cavallotti), distruggendo centinaia di case, devastando l’Ospedale Civile e la Casa del Pane. Il cuore di Voghera era letteralmente saltato in aria, ormai la città era irriconoscibile perché trasformata in un enorme cumulo di macerie mentre i testimoni diranno che per lungo tempo la fitta nebbia prodotta dal fumo e dalla polvere appariva impenetrabile e impediva di avere consapevolezza dell’accaduto.»
Ma perché gli alleati decisero di attaccare la città con uno stormo di 24 bombardieri e 95 bombe?
«Si era in un periodo molto delicato della guerra. Le truppe nazifasciste erano in evidente difficoltà e temevano che le truppe alleate potessero imprimere un’ulteriore svolta al conflitto: i tedeschi, in particolare, erano convinti che inglesi e americani avrebbero potuto sbarcare in Liguria e quindi avevano iniziato a spostare in Oltrepò la 504esima divisione, 30 carri armati Tiger e un numero imprecisato di carri radiocomandati che venivano utilizzati un po’ come i droni odierni: Voghera, proprio perché crocevia naturale del nord Italia, era una città strategica e qui i mezzi tedeschi rimasero parcheggiati a lungo. La circostanza ovviamente arrivò all’attenzione anche dei vertici americani e attraverso i documenti ufficiali siamo riusciti a ricostruire quelle drammatiche vicende. C’è anche un alone di mistero, che fa supporre – pur in assenza di prove documentali – che all’epoca ci fu anche una guerra di informazioni e soffiate tra spionaggio e controspionaggio: pochi giorni prima del bombardamento, infatti, la colonna di mezzi tedeschi venne trasferita fuori città verso Torrazza Coste, senza un apparente motivo».
Per scrivere la sua trilogia lei ha dovuto cercare informazioni tra documenti riservatissimi, una vera e propria prova di giornalismo di inchiesta. Come è riuscito?
«È frutto di un lavoro di equipe che ha richiesto grande perizia e pazienza. Fondamentale è stato il lavoro di alcuni amici ricercatori e studiosi che con grande caparbietà analizzando le vicende legate alla guerra aerea sulla Pianura Padana hanno potuto andare a trovare indizi e informazioni negli atti ufficiali, durante la guerra segreti e oggi a distanza di tanti anni finalmente consultabili, conservati negli archivi di tutto il mondo. Diciamo che sono documenti ormai desecretati ma che possono trovare soltanto coloro che sanno dove andare a cercare informazioni cosi delicate. Noi abbiamo indagato negli archivi militari e non solo in Maryland, in Inghilterra, in Germania, in Francia: senza questi ricercatori tutto sarebbe stato impossibile».
Dalle testimonianze di chi all’epoca era un bambino lei ha raccolto anche tante informazioni e curiosità: per esempio, chi era Pippo?
«Pippo era l’incubo di tutte le città del nord Italia: era l’aereo che ogni sera perlustrava la zona e se c’erano luci accese o vedeva movimenti di mezzi, bombardava. Pippo ormai era stato umanizzato dai vogheresi: molti mi hanno detto che ricordano i loro genitori intimare di “spegnere la luce” perché stava per passare l’aereo che loro chiamavano per nome. Ho trovato anche documenti della polizia locale che ogni giorno perlustrava la città ed elevava le sanzioni a chi veniva sorpreso con le luci accese in casa. Ma mi ha colpito anche il ricordo di alcuni bambini che, quando scattava la sirena dell’allarme, venivano fatti scendere dai genitori nei rifugi: loro vedevano l’arrivo degli aerei e dicevano che viste da terra le bombe che venivano sganciate durante i raid sembravano caramelle…»
Un’opera che serve a non dimenticare l’orrore di quel bombardamento e, in generale, della guerra…
«Come ho scritto nel libro, i documenti e i reperti trovati negli archivi hanno permesso di spiegare, dopo ottanta anni, il devastante bombardamento di Voghera. Ma la considerazione finale che dobbiamo fare è un’altra: dei morti innocenti di Voghera possiamo individuare le cause, ma non i colpevoli. Perché c’è soltanto un vero, unico colpevole ed è la guerra stessa, l’illusione folle di risolvere le controversie tra gli Stati con le armi. Purtroppo si tratta di una consapevolezza che ancora oggi, nel mondo intero, stenta a farsi strada. E allora dobbiamo ringraziare i nostri nonni, i nostri genitori che, dalla fine della seconda guerra mondiale, ci hanno donato ottant’anni di prosperità, democrazia e pace. Dobbiamo avere l’intelligenza di non disperdere mai i loro insegnamenti. E non dimenticare l’orrore che i conflitti bellici provocano».
Claudio Micalizio