di Gianni Avanzi
Se Vigevano è la capitale della scarpa, i cui fasti in un passato recente erano celebrati a livello internazionale, nella storia industriale della città ducale c’è un’altra tradizione, forse meno nota ma sicuramente altrettanto gloriosa, quella della seta, che peraltro accomuna il capoluogo ad altre località della Lomellina. E la più grande testimonianza di questa vocazione industriale è rappresentata, ancora oggi, da un intero quartiere, il Cascame, che prende il nome da uno dei primissimi insediamenti tessili sorti alla vigilia del ‘900 in una zona agricola alla periferia della città che poi, nei decenni, si è progressivamente urbanizzata.
La storia dell’industria tessile lomellina nasce e si sviluppa parallelamente alla coltura del baco da seta, introdotta durante la signoria degli Sforza nel XIV secolo con un impatto positivo sull’attività agricola e sul benessere economico di chi la svolgeva: mentre i contadini nei campi coltivavano riso e grano, mogli e figlie si dedicavano all’allevamento dei bachi che potevano alimentare con le foglie di gelso, pianta originaria dell’Asia e diffusa anche in Africa e Nordamerica che in quel periodo venne introdotta in provincia di Pavia. Per il territorio inizia un periodo di grande sviluppo ed è merito in fondo anche delle generosità della natura: i “bigàt” – così venivano chiamate in dialetto le larve – venivano allevati nelle cascine e, in quattro giorni, completavano la tessitura del bozzolo, quindi si arrampicavano su un’impalcatura di ramoscelli (il cosiddetto ‘bosco’) e producevano un liquido che, a contatto con l’aria, solidificava in un filamento chiamato “bava”, ovvero seta.
Il luogo preposto alla lavorazione e alla filatura della seta è la filanda ed è sulla scia di questo grande fervore tessili che i caratteristici opifici iniziano a diffondersi entrando nel panorama della provincia di Pavia. Mentre la coltivazione di gelsi e bachi da seta si diffonde anche in Oltrepò Pavese, i setifici diventano il cuore del primo processo di industrializzazione della Lomellina se è vero che aziende artigianali, laboratori e ditte manifatturiere lavoravano già la seta dalla seconda metà del Settecento e il cotone dalla prima metà dell’Ottocento.
Verso la metà del XIX secolo Vigevano è il centro principale della tessitura locale: i libri di storia documentano che ci sono l’industria di Pietro Bonacossa (che impiega 530 operaie, 45 uomini e 80 bambini e – dicono gli storici – con una forza motrice di 10 cavalli, la più alta della provincia), la Rigone fratelli (quasi 400 ), la Negrone e Oldani fratelli (123 operai) e la Colli-Cantone. Ma la tradizione prende piede anche nel resto del territorio: in Lomellina il secondo centro serico è Dorno, dove operano l’opificio di Luigi Bonacossa e fratelli, e l’industria di Giuseppe Cervi mentre a Mortara opera la ditta di Cesare Molina i cui soci, Petrone e Cavadini, gestiscono ben tre industrie: due a San Giorgio, con più di 200 dipendenti, e una terza a Pieve del Cairo, dove opera anche l’impresa di Luigi Bosone.
E’ un periodo di grande fermento e grande fervore produttivo nonostante le insidie internazionali siano sempre in agguato: tra il 1860 e il 1880, per esempio, il settore affrontò una grave crisi a causa della malattia del baco e, nel settore del cotone, della concorrenza inglese ma poi a questi problemi si aggiunse l’aumento dell’importazione di prodotti asiatici, e la cessazione della tessitura e la riduzione della trattura hanno messo in crisi molte aziende. Una fase difficile che però rappresentò per le imprese superstiti un viatico verso nuovi fasti: negli ultimi vent’anni del XIX secolo, il protezionismo e la sconfitta della malattia del baco favoriscono l’espansione delle industrie lomelline sui mercati europei e internazionali.
Sono gli anni in cui anche il settore della lavorazione del cotone registra una forte espansione mentre la trattura e la torcitura si perfezionano. Nel 1898 in una zona agricola alle porte di Vigevano viene avviato lo stabilimento della Filatura Cascami Seta, primo nucleo di quell’azienda che con il passare degli anni si ingrandirà così tanto da diventare un vero e proprio quartiere, “Il Cascame” appunto: vicino allo stabilimento vengono costruite abitazioni per le famiglie dei dirigenti e degli operai qualificati, oltre a un convitto gestito da suore per le operaie. Nel 1926, quando questa piccola comunità conta oltre 4.000 abitanti, su un terreno donato dall’azienda viene costruita anche la chiesa di San Giuseppe al Cascame, cui fanno seguito una cooperativa di consumo (che assolve la funzione di luogo di ritrovo con un negozio di alimentari) e addirittura una piccola scuola. Oggi il quartiere (che è delimitato a est dal Ticino, da Corso Pavia a sud, dalla ferrovia a ovest e da Corso Milano a nord) è parte integrante del tessuto urbano vigevanese e, dopo la definitiva la chiusura della fabbrica agli inizi degli anni ’80, è al contempo testimonianza ed eredità di un’epoca d’oro per l’industria lomellina.
Perché il progresso avanza e nei primi vent’anni del Novecento, il settore serico inizia un declino inarrestabile a causa della diffusione della seta artificiale, mentre il settore cotoniero sfrutta l’energia elettrica. Mentre Vigevano rimane il centro dell’industria manifatturiera e potenzia la sua vocazione calzaturiera, a Sartirana nasce il maglificio Grifo (nel 1919) e la Marzotto insedia a Mortara uno stabilimento per la pettinatura della lana. Complice anche il diffondersi delle fibre artificiali, tra il 1960 e il 1980 il settore manifatturiero entra in crisi: il futuro del settore tessile sembra essere nella maglieria e così aziende medio-piccole nascono e si sviluppano in tutta la Lomellina (Cilavegna, Mede, Pieve del Cairo, Sannazzaro, Confienza e Tromello) ma questo ennesimo cambiamento di fisionomia territoriale non riuscirà a eguagliare la rivoluzione industriale innescata da gelsi e bachi da seta.
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